Nel precedente articolo abbiamo provato a fare un breve riassunto delle leggi riguardo il consumo di suolo che presto dovrebbero essere introdotte a livello regionale e nazionale. In questa occasione vogliamo invece analizzare la situazione del suolo italiano per capire come e perché sia così necessario intervenire in sua difesa.
Dai dati pubblicati recentemente da ISPRA (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nell’edizione del 2017 del suo Rapporto Annuale sul Consumo di Suolo in Italia, si scopre che ben il 7,64% del territorio italiano è ormai cementificato: parliamo di oltre 23.000 km2. Se mettessimo una accanto all’altra ogni singola area urbanizzata, ogni capannone ed impianto industriale, tutte le strade e autostrade, insomma tutto il cemento d’Italia, potremmo rivestirci per intero l’Emilia-Romagna. E ne avanzeremmo pure.
Ogni secondo che passa perdiamo 3 m2 di suolo utile sotto l’incedere delle betoniere. Nei primi anni 2000 l’Italia aveva raggiunto un ritmo di anche 8 m2 persi al secondo, poi dal 2008 abbiamo iniziato a rallentare fino all’attuale media. Purtroppo però è stato soprattutto merito della crisi economica dell’ultimo decennio se si è iniziato a risparmiare questa risorsa così preziosa.
Consumo di suolo significa soprattutto spreco di una risorsa non rinnovabile. E ad ogni spreco di risorsa corrisponde un costo economico per chi la sostiene. ISPRA stima un costo medio annuo per il nostro paese di circa 800 milioni di Euro per la perdita di quei servizi e quelle funzioni che il suolo ci potrebbe offrire in maniera naturale e soprattutto gratuita: alcuni di questi sono facilmente intuibili, come la produzione agricola, il mantenimento della biodiversità o la qualità visiva del paesaggio; altri sono meno scontati nonostante la loro assoluta rilevanza, come l’infiltrazione dell’acqua piovana e la protezione dall’erosione.
Per un paese fragile come l’Italia, dove la maggior parte del territorio risulta a forte rischio idro-geologico, un minor consumo di suolo e una minore cementificazione significherebbero soprattutto un migliore ricircolo dell’acqua, che tornerebbe a permeare nel sottosuolo, e una maggiore stabilità delle aree a rischio di eventi franosi. L’intensificarsi di fenomeni temporaleschi estremi, come le famigerate “bombe d’acqua” che ultimamente si presentano sempre più frequentemente, rende impossibile pensare di poter ulteriormente cementificare, e quindi impermeabilizzare, il nostro territorio. E un dato che emerge preoccupantemente dal Rapporto ISPRA è proprio quello riguardo al consumo di suolo in aree a rischio dissesto idro-geologico: per esempio, ben un quarto del territorio della Liguria entro 150 metri da letti di fiumi e torrenti è impermeabilizzato, e quasi il 12% di quei 23.000 km2 che abbiamo cementificato si trova in aree a rischio frana.
In Emilia-Romagna circa il 10% del territorio è urbanizzato: siamo al quarto posto in Italia, dopo Lombardia (che sfiora il 13%) , Veneto (12%) e Campania (11%), e ben al di sopra della media nazionale del 7,64%. Negli ultimi 40 anni in Regione abbiamo assistito ad una progressiva perdita di territorio agricolo a favore non solo delle aree urbane, ma anche delle aree naturali, in quanto, seppur più lentamente rispetto al processo di antropizzazione del suolo agricolo, molte aree agricole sono state abbandonate e progressivamente si sono reintegrate nella rete delle aree verdi naturali. Non si tratta necessariamente di un fenomeno positivo, in quanto spesso queste aree risultano essere terreni isolati abbandonati perché resi difficili da coltivare dalla “cementificazione diffusa” che caratterizza l’Emilia-Romagna, dove è forte l’antropizzazione anche nei piccoli centri di campagna e, soprattutto, la presenza di numerose grandi infrastrutture viarie ha spezzettato la pianura senza continuità.
A livello locale, se la Provincia di Parma nel complesso presenta un valore di antropizzazione pari alla media regionale, e comunque ben al di sotto di Modena, Reggio e della riviera romagnola, il singolo Comune di Parma risulta fra i primi dieci in Italia per superficie cementificata totale, con valori ben più alti anche di città molto più popolose.
In generale la crescita del consumo di suolo non è mai stata direttamente correlata alla crescita demografica o economica. Dagli anni ’90 in poi, il consumo di suolo in Italia è stato soprattutto imparentato con speculazioni edilizie, abusivismo e cattiva amministrazione pubblica. Ora che il clima sta cambiando, ne stiamo pagando sempre più pesantemente le conseguenze sotto forma di risorse, e soprattutto vite umane, perse sotto il fango che ritorna, quasi come a volersi riprendere in maniera eclatante tutto lo spazio che gli è stato sottratto in silenzio negli ultimi anni.
Se è vero che la crisi, l’unico degli elementi in gioco riuscito con successo a rallentare il processo di cementificazione, è ormai alle spalle e l’economia è pronta a ripartire, è necessario porsi adesso quei paletti a livello di politiche territoriali e ambientali per scongiurare il ripetersi degli scempi avvenuti in passato e mettersi concretamente nell’ottica del consumo di suolo zero.
Scarica Il Rapporto Annuale di ISPRA sul consumo di suolo
Scarica la sintesi del Rapporto
Scarica l’Atlante dei dati regionali
APPROFONDIMENTI
- Gardi, N. Dall’Olio, S. Salata; L’INSOSTENIBILE CONSUMO DI SUOLO; prefazione di L. Mercalli; Monfalcone, EdicomEdizioni; 2013.
La Nuova Ecologia, numero 9 (ottobre), anno 2016.
La Nuova Ecologia, numero 7 (luglio-agosto), anno 2017.