Green Economy, questa sconosciuta…

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Comparso timidamente nelle dichiarazioni politiche della recente campagna elettorale, il concetto di Green Economy resta per molti qualcosa di indefinito: c’è chi lo intende strettamente legato ai settori classici di gestione ambientale, acqua e rifiuti, o chi, semplificando tremendamente, lo identifica col fotovoltaico. Entrambi questi settori ne fanno parte ma il concetto di Green Economy è molto più ampio e va inteso come settore trasversale in grado di abbracciare tutti i processi produttivi del settore manifatturiero e non solo. Quando si parla di Green Economy si parla di tutte le attività legate al risparmio e riciclo dei materiali, all’efficienza e al risparmio energetico, alle fonti rinnovabili, all’agricoltura di qualità ecologica, alla mobilità sostenibile…ma anche e soprattutto si parla di eco-innovazione, cioè “qualsiasi forma di innovazione che riduce impatti negativi per l’ambiente, aumenta la resistenza alle pressioni ambientali e consente un uso più efficace e responsabile delle risorse naturali” (UE – 2011). Dietro questa definizione si nascondono ricadute positive in varie direzioni: dagli investimenti in materia di ricerca e sviluppo alla creazione di posti di lavoro, alla creazione di network di PMI (anche grazie alle Reti d’Imprese secondo la legge 2009/33) finalizzati alla diffusione di competenze nonché alla realizzazione di interventi green.

Sono varie le pubblicazioni che negli ultimi anni illustrano da una parte le potenzialità di una svolta dell’economia in senso green, dall’altra le effettive difficoltà della sua realizzazione. Fra questi il rapporto GreenItaly 2012 che descrive i risultati raggiunti dalle imprese che hanno effettuato investimenti green nel periodo 2009-2012 (circa una su quattro) confrontandoli con quelli delle altre aziende: sul fronte delle esportazioni e dell’innovazione le imprese green mostrano prestazioni significativamente migliori.

Gli investimenti effettuati si possono distinguere anche secondo la fase di produzione in cui agiscono: INPUT – PROCESS-OUTPUT. Ciò che emerge da GreenItaly è che più dei 2/3 degli investimenti sono rivolti a minimizzare gli input (energia e materia), forse in risposta anche alla situazione congiunturale.

In Italia, per quanto riguarda le energie rinnovabili è scontato ricordare che il 2011 è stato l’anno d’oro del fotovoltaico. Ma molto interessanti sono i risultati e le prestazioni di alcuni settori:

– la ceramica, negli ultimi vent’anni ha dimezzato i consumi energetici e raddoppiato la produzione, la quale inoltre riassorbe il 55% dell’acqua utilizzata nel ciclo produttivo e gli scarti solidi riutilizzati costituiscono il 12% delle materie prime in input;

– l’industria conciaria, in nove anni ha ridotto del 23,5% il consumo di acqua e nel 2011 la quantità di rifiuti recuperati e riciclati (anche in altri settori produttivi) è stata del 70%;

– l’industria cartaria che utilizza ben il 57,2 % di carta da macero

– il settore agroalimentare, per quanto riguarda la crescita dei mercati a chilometro zero e la produzione biologica: l’Italia è il maggior esportatore mondiale di prodotti biologici e il primo in Europa per il numero di aziende bio.

Una menzione particolare va alla filiera del riciclo: in Italia l’industria basata sull’uso di materie prime seconde (es. in siderurgia, industria cartaria, del legno, ecc.) ha retto meglio alla recessione rispetto alla produzione primaria. L’Italia, paese povero strutturalmente di materie prime, possiede una filiera del riciclo molto forte e rappresenta un’anomalia fra i paesi industrializzati poiché è l’unica economia avanzata ad importare materie prime seconde. Su tali materie, ad esempio, si basano oggi circa i 3/4 della produzione di acciaio, rame e alluminio e più del 50% della produzione di carta. Nel decennio 1998-2008 il numero di imprese in questo settore è cresciuto del 30% mentre il numero di occupati è raddoppiato.

In Emilia Romagna il settore maggiormente incidente sul complesso di aziende green è quello agroindustriale: stando al Rapporto 2012 redatto da ERVET, la Green Economy regionale è così costituita:

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Il dato è interessante perché delle imprese agroalimentari green la quasi totalità è costituita dai trasformatori/preparatori di prodotti da agricoltura biologica (683 su 720). Si legge sul Rapporto Ervet: ” Si tratta di aziende che puntano strategicamente proprio sul marchio biologico delle materie prime utilizzate, operano in modo da mantenere inalterata la qualità del prodotto agricolo riuscendo così ad immettere nel mercato prodotti finali lavorati industrialmente che possano comunque vantare il marchio biologico. Si dimostra così come il settore agroalimentare costituisca un bacino privilegiato della green economy, se non altro per il fatto che coinvolge tutti i soggetti della filiera (produttore agricolo o allevatore, trasformatore produttore, distributore) e risulta pertanto cruciale nelle politiche dell’agricoltura quanto delle attività produttive. Un mercato, quello di beni e prodotti legati alle materie prime di origine biologica, che dimostra importanti sviluppi futuri sia sul fronte dei consumi privati […] che su quello pubblico, grazie alle prospettive del Piano d’Azione Nazionale sul Green Public Procurement (acquisti verdi nella Pubblica amministrazione) che all’interno del CAM (criterio ambientale minimo), approvato per “servizio di ristorazione e per la fornitura di derrate alimentari”, prevede che almeno il 40% di alimenti e bevande debba essere di origine biologica.”

Da cui si può conclude l’importanza strategica di agire sull’intera filiera e sull’azione driver che possono esercitare gli Enti Locali attraverso gli appalti verdi.