Qualche settimana fa ci è pervenuto via posta ordinaria il catalogo di una cartoleria professionale dove alcuni prodotti sono contrassegnati con il marchio “ECOacquisto” (vedi immagine). Interessati, abbiamo cercato nel catalogo qualche specifica per capire a cosa si riferisse il marchio (es. utilizzo di energia rinnovabile, riciclo di materiali, ridotto consumo d’acqua, ecc.) ma nel catalogo non abbiamo trovato nulla. Allora abbiamo consultato il sito internet della cartoleria dove gli stessi prodotti sono indicati con la dicitura “prodotto ecologico” e contrassegnati da un ulteriore simbolo, diverso dal primo. Oltremodo confusi, ci siamo decisi a chiedere chiarimenti direttamente alla cartoleria e finalmente abbiamo scoperto che il marchio “ECOacquisto”, utilizzato per i prodotti da ufficio, è definito come un “indice ecologico” assegnato quando i produttori garantiscono l’ecosostenibilità dei propri prodotti attraverso:
– riduzione dei consumi energetici in fase di funzionamento
– basso o nullo utilizzo di sostanze chimiche, tossiche o inquinanti nella produzione
– produzione attraverso materiali riciclati
– riciclo e riutilizzo del prodotto
– fabbricazione di un ciclo produttivo rispettoso dell’ambiente.
Girovagando sulla rete si trovano negozi online che utilizzano lo stesso indice.
Insomma, con un processo di sicuro non immediato, abbiamo ottenuto le risposte che volevamo anche se, per la genericità dei concetti espressi, tali risposte aprono la strada a molte altre domande. Innanzitutto ci si chiede se le pratiche di eco-compatibilità citate comportino per l’azienda un reale sforzo per aumentare la propria sostenibilità oppure se, al contrario, si comunichino come “eco” delle prassi minime, ormai piuttosto comuni, come ad esempio il recupero parziale degli scarti di materia prima. Allo stesso modo, salta all’occhio il concetto di “ciclo produttivo rispettoso dell’ambiente” non meglio specificato. Tornando però al nostro catalogo, un marchio siffatto veicola al consumatore informazioni tanto semplificate da rendere persino difficili eventuali approfondimenti tramite rete. Ma, d’altra parte, colpisce il consumatore sensibile alle problematiche ambientali stimolandolo ad acquistare ed appagando al contempo il bisogno di sentirsi in pace con l’ambiente.
I consumatori sono sempre più sensibili dal punto di vista ambientale e questo crea terreno fertile per quella moderna pratica definita “greenwashing“, una tecnica di marketing finalizzata a rendere eco-friendly l’immagine dell’azienda, tecnica che molto spesso viene utilizzata anche da aziende la cui responsabilità ambientale non è così dimostrabile né evidente. In altre parole, la crescente sensibilità ambientale è diventata la nuova frontiera del marketing, ragion per cui è importante saper riconoscere operazioni di puro greenwashing. Ecco alcuni aspetti di cui tenere conto:
- assenza di dati quantitativi a supporto delle affermazioni sulla sostenibilità (es. % materiale riciclato, % energia rinnovabile, Carbon Footprint, Water Footprint)
- presenza di certificazioni da parte di soggetti non imparziali (società o enti terzi legati all’azienda)
- presunta sostenibilità basata su un unico aspetto (prodotto finale riciclabile, tutto o in parte)
- affermazioni vaghe e non chiare (es. utilizzo di prodotti “naturali”).
Ricordiamoci che il mercato dipende strettamente dalle nostre scelte quando agiamo in veste di “consumatori” (basti pensare a come si è evoluto il mercato del biologico, con pro e contro). E’ quindi importante chiedersi cosa sta dietro i nostri acquisti e quali sono gli impatti (non solo) ambientali che portano con sè.
Per maggiori informazioni consultate il sito www.greenwashingindex.com.